lunedì 16 agosto 2021

Tragedia Afghanistan: what a shame

Ci sono due modi per tradurre dall'inglese la frase "What a shame": che peccato, oppure, che vergogna, per sintetizzare quanto possiamo pensare dopo il disimpego occidentale in Afghanistan e la caduta di Kabul. A chi mi legge la scelta dopo aver letto la storia dei vent'anni di guerra "per mettere ordine" in Afghanistan. In tutto quel periodo la coalizione NATO, a guida USA, ha perso 3.232 militari di cui 2.178 statunitensi (più 19.650 feriti) e 53 italiani (più 651 feriti). Dovevano, tra l'altro, addestrare le forze armate afghane; purtroppo molti di questi soldati hanno deposto le armi appena visti arrivare i talebani. Ci si domanda se il disimpegno, il "tutti a casa" non sia un'offesa per tutti quei caduti. Ma un altro aspetto, estremamente significativo e crudele, è il terrore che sta ora dilagando tra le donne; in vent'anni, una generazione, hanno coltivato la speranza della loro emancipazione, del raggiungimento di alcune libertà, diritti fino allora sconosciuti. Premi come il Nobel hanno, a parere mio, la funzione di gratificare quanto svolto, ma anche incoraggiare azioni future; c'è ora da chiedersi se qualcuno non si sente oggi in dovere di riflettere su quel Premio ottenuto nel 2009 "per il suo straordinario impegno per rafforzare la diplomazia internazionale e la collaborazione tra i popoli". E che dire del comportamento di quello che era allora suo vice? Non si può sempre dare la colpa a chi c'era prima; se c'è uno che ha ereditato un percorso avviato prededentemente è stato proprio Trump...

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