giovedì 30 aprile 2015

La lectio magistralis di Ferruccio De Bortoli

Ferruccio De Bortoli lascia la direzione del Corriere della Sera; gli ho così scritto :

Direttore De Bortoli,
per chi, come me, è stato solo un lettore del Corriere, il Suo discorso di commiato è parso qualcosa di diverso, una lectio magistralis  di giornalismo a più ampio raggio e di vita, perchè Lei ha condensato in quel commiato tutta la Sua opera espressa in questi anni.
Sono stato sovente agli incontri che la Fondazione Corriere della Sera organizza in via Balzan, alla Sala Buzzati, e ora Le posso rivelare, e sono certo che non equivocherà, che talvolta la scelta se partecipare o no dipendeva se nel programma era prevista la Sua presenza: era per me un indice di qualità.  Una volta, quando ebbe ospite Gianna Nannini, presi anche la parola, ma credo di essermi impappinato... 
Io sto per compiere 68 anni, proprio quell'8 di maggio che rappresenta una data storica per altri ben più importanti eventi; ho sempre visto il Giornalismo con l'iniziale maiuscola e, presa la qualifica di pubblicista nel febbraio 1986, ho sempre praticato la ricerca delle linee fondamentali dell'Informazione.
Ricordo, e con orgoglio, quando l'8 marzo del 1997, come caporedattore di una televisione lombarda, scambiai qualche parola con Gianni Agnelli (definirla intervista è un po' presuntuoso) a proposito di alcune sue opinioni su un libro di Innocenzo Cipolletta, La responsabilità dei ricchi. La risposta di Agnelli fu esauriente e lo ringraziai; dopo qualche minuto però, riflettendo sulle parole e i toni che avevo usato, tornai da lui e mi scusai "...se ero stato un po' impertinente". Mi rispose: "Le domande, o sono impertinenti o non sono domande".
Direttore, Lei non ha mai avuto bisogno dell'esempio di nessuno, ma sono certo che non si è mai fermato di fronte alla scelta se porre una domanda  impertinente o meno.

Gianmaria Italia 

martedì 28 aprile 2015

SCIOPERO: ma è sempre un libero diritto?

Lo sciopero adottato stamane a Milano da dipendenti dell'ATM ha messo in seria difficoltà ("disagio" è un eufemismo) migliaia di lavoratori trasformandoli in incolpevoli vittime di rivendicazioni che, pur avendo una loro giustificazione, sono sempre dannose quando si ripercuotono sulle spalle di gente che affida ai mezzi pubblici la propria economia quotidiana.
Il lavoro dei  dipendenti dell'ATM è sotto gli occhi di tutti, per cui lo rispetto; mi domando tuttavia se con certe agitazioni ci si rende  conto che esiste anche quello degli altri.
E' mai possibile che non ci sia quella capacità dialettica, quell'incisività negoziale che porti a degli accordi senza coinvolgere negativamente l'utenza (leggasi meglio Clienti) che diviene la parte più vulnerabile?
C'è gente con un lavoro precario, che vive del quotidiano con salari irrisori che non possono certo coprire spese di taxi.
Rispetto il diritto allo sciopero, ma è fondamentale che questo rispetti altri lavoratori, altrimenti si creano situazioni conflittuali.
Mi è difficile solidarizzare con lavoratori che per sostenere proprie rivendicazioni mettono in difficoltà altri lavoratori.
Varrebbe la pena di ricordare quanto accadde nel dicembre 2003 quando decine di migliaia di studenti e lavoratori rimasero a piedi o chiusi fuori dai cancelli della metropolitana. I gravi danni dei singoli cittadini non sono stati indennizati da alcuno.

giovedì 23 aprile 2015

EXPO, lavori per ...choosy?

Andiamo all'Expo, un'esperienza emozionante che Milano ha vissuto fino al 1985, giusto trent'anni fa quando smise di chiamarsi Fiera Campionaria. Arrivavano da ogni parte dell'Alta Italia, soprattutto in treno e corriera, e all'ora di pranzo aprivano i cartocci di pane, formaggio ed affettati e stappavano bottiglie portate da casa. Fotogrammi in bianco e nero della mia memoria. Ah, tempi andati di una società e di una fiera letteralmente scomparse...
Oggi, per l'Expo, la nuova Campionaria, si parla d'altro: il ritardo nell' ultimare alcune opere e ora la questione di chi avrebbe rinunciato a lavorarci.
Mah... Ai più è parso paradossale che dei giovani avessero rifiutato i sei mesi di lavoro offerti dalla Manpower per lavorare all'Expo 2015.
Ne ha dato notizia un giornale nazionale e così anche qualche tg. Quello che mi ha sorpreso e seccato è stata l'assoluta assenza del condizionale che, di fronte ad una notizia "che faceva notizia" sarebbe stato d'obbligo. Corretta RAI News che ha dato spazio a entrambe le voci: selezionatori e candidati. L'autorevole Aldo Grasso (di cui ho quasi sempre condiviso le opinioni), una volta citate notizia e fonte si è, comprensibilmente, detto sconcertato e, a differenza di altri, ha dimostrato  buongusto evitando marchiature del tipo "bamboccioni, choosy o sfigati". Giuseppe Sala, commissario dell'Expo, si è detto "stupito". Se uno è sconcertato o stupito significa, a parere mio, che si è di fronte a qualcosa di inaspettato e che va approfondito. 
Tutto questo mercoledi 22, infatti oggi, giovedi  23 aprile, non se ne parla più ai piani alti; però  i social network si riempiono di proteste e di precisazioni, Manpower (l'azienda incaricata di selezionare le candidature) chiarisce. Naturale conseguenza che qualche altro giornalista  voglia capirci meglio e L'Huffington Post si preoccupi di mettere nel titolo la sintesi virgolettata "Altro che turni scomodi e 1300 euro. Me ne hanno offerti 500 con cui pagarmi viaggio e panino" poi, a seguire, testimonianze e chiarimenti.  Meglio così.
Con i giovani ci dialogo da trent'anni e so che, per un lavoro onesto, non si tirano indietro. Ho conosciuto, anche nell'ambito familiare, universitarie che lavoravano nei call center per pagarsi gli studi e neolaureati impiegati come stagisti in grandi aziende: sei mesi a 250 euro, o addirittura gratis, più un buono pasto (un lusso!). 
Ma non erano schizzinosi, pardon, "choosy"?
Andiamoci all'Expo, incontreremo anche migliaia di volontari per il cui reclutamento non c'è stato limite d'età; ne cercherò quanti più possibile per stringere loro la mano perchè, testuale, "quell'attività richiede che i volontari siano in piedi sotto la pioggia o sotto il sole per 5 ore e 30 minuti consecutive".

venerdì 17 aprile 2015

GUIDARE IN GALLERIA, quando gli imbecilli sono tra noi

Lo spazio per le esecrazioni da post tragedia fa presto a riempire le cronache, non ci si preoccupa invece della cause che sovente ci camminano accanto.
Neanche a farlo apposta (quanto mai!) il mio post del 2 marzo è stato presagio all'esperienza che ho vissuto personalmente  la sera di mercoledi 15 aprile nel tunnel del Gottardo. Pensate che è una canna a doppio senso di marcia lunga 17 km (collega i cantoni Uri e Ticino) quindi l'attenzione deve essere sempre massima
Numerosi cartelli indicano il divieto a superare gli 80 km/hr e altri, ancor più vistosi, raccomandano ai camion di tenere una distanza di almeno 150 metri dal veicolo che li precede.
A me è successo il contrario: per buona parte del percorso, nel tratto verso Airolo e Bellinzona, un autotreno per il trasporto di autovetture  (bisarca) mi seguiva mantenendosi ad una distanza tra i 30 e i 50 metri e ogni tanto lampeggiava come se io avessi dovuto aumentare la velocità che tenevo rigorosamente al limite degli 80 km/hr. Oltretutto, nel mio senso di marcia, c'erano altri veicoli. Mah... Vi lascio immaginare come si può guidare in galleria con un veicolo che ti segue in modo così scriteriato e, per di più, ti abbaglia. Quando ho sporto il braccio per indicargli il cartello che prescriveva la distanza di sicurezza mi ha suonato il clacson: un sobbalzo che avrebbe potuto farmi sbandare con le conseguenze che potete immaginare.
Ne ho informato la Polizia Cantonale elvetica che mi ha prontamente risposto fornendomi anche utili consigli, sono certo che avrà preso gli opportuni provvedimenti.
Sono loro grato per l'attenzione e se, malauguratamente, vi trovaste nelle mie stesse situazioni, fate telefonare alla Gendarmeria dal vostro compagno di viaggio o, se siete soli, appena possibile accostate in qualche apposita area di parcheggio e chiamate: in Svizzera il numero telefonico per le urgenze è il 117 mentre in Italia è il 113