martedì 13 gennaio 2015

JE SUIS CHARLIE a Lussemburgo


Mercoledì 7 gennaio ero in Lussemburgo e stavo seguendo su RaiNews24 la cronaca dell'attacco alla redazione di Charlie Hebdo quando dietro la sua direttrice Monica Maggioni comparve la scritta JE SUIS CHARLIE
Immediatamente seguirono numerose adesioni; sì, perchè ci si voleva identificare in quella libertà di stampa, di comunicazione che il settimanale Charlie Hebdo, seppur incontrando qualche parere contrario, aveva sempre perseguito fino a pagarla con la vita.
A presidiare la redazione c'erano due poliziotti, Ahmed Merabet e Franck Brinsolaro; il primo era all'esterno dell'edificio e il secondo nella redazione: entrambi furono uccisi dai terroristi. Tutti hanno potuto vedere le raggelanti sequenze dell'uccisione di Ahmed già a terra ferito; quando si seppe che era musulmano di origine algerina ci fu chi volle aggiungere JE SUIS AHMED.
A parere mio quell'ipotetico atto d'omaggio per il poliziotto confondeva i due ruoli: da una parte era il riconoscersi nella difesa della libertà di stampa e nell'altro caso c'era un uomo di cui va invece celebrato il sacrificio mentre svolgeva il suo lavoro, al pari del collega Franck (la guardia messa a protezione del direttore di Charlie) di cui però nessuno ha voluto essere testimonial o interprete. No, JE SUIS FRANCK non l'ho letto da nessuna parte e non voglio immaginare il perchè.
Nel giro di poche ore venne indetta una grande manifestazione da tenersi alle 15 di domenica 11 a Parigi coinvolgendo numerosi capi di stato e di governo, uniti "contro il terrorismo e per la salvaguardia dei diritti di libertà".
In Lussemburgo l'ambasciata di Francia organizzò in parallelo, per la stessa data e ora, un "rassemblement pour témoigner de l'attachement à la libertè d'espression et à la Democratie".
Lussemburgo è una città molto popolosa dal lunedi al venerdi sera per via di tutti i lavoratori che vi affluiscono, ma nel fine settimana vedi solo i suoi residenti; cionostante domenica pomeriggio in Place de la Constitution, dove sventolava a mezz'asta la bandiera lussemburghese, ai piedi della statua Gelle Fra (proprio davanti alla dimora dell'ambasciatore di Francia M. Guy Yelda), sono affluite circa duemila persone. Moltissime mostravano cartelli con la scritta Je suis Charlie oppure, in lussemburghese, Ech sinn de Charlie e altre levavano alte delle matite.

Erano lì tutte a testimoniare l'assoluta necessità che la libertà d'espressione andasse tutelata, ovunque. Tutti in silenzio fino a quando hanno intonato la Marsigliese e Ons Heemecht, gli inni francese e lussemburghese; una grande emozione ha pervaso tutti mentre sventolavano il Tricolore francese e la bandiera con lo stemma del Granducato.

Quasi tutte le cronache dell'oceanica adunata di Parigi dicono che erano andati lì a manifestare contro il terrorismo, altrettanto le dichiarazioni ufficiali: mi chiedo se ci sia fermati ad un solo scopo dopo aver rilevato che la libertà di stampa non è proprio del tutto praticata in taluni paesi che pure avevano esecrato l'attentato. Politicamente corretto? Per quanto ho potuto constatare, in Lussemburgo hanno chiaramente espresso che alla base di tutto ci vuole la libertà di parola, una libertà alla quale, aggiungo io, si risponde con altrettanta libertà di parola, mai con la violenza.
Ecco la prima strofa dell'inno nazionale lussemburghese,ONS HEEMECHT (La nostra Patria)
Oh Dio che ai popoli la via indichi, Proteggi con la tua man la nostra Patria; Già nella culla ci desti Amor di libertà.
 


(foto di Daniela Italia e Gianmaria Italia, © riproduzione vietata)