mercoledì 14 novembre 2012

MOMENTI DI GLORIA recensione

Passati tre mesi dalla XXX Olimpiade pubblico volentieri la recensione del film Momenti di gloria scritta da Donatella Italia
 
Una colonna sonora inconfondibile, una scena, quella dei ragazzi che corrono lungo le sponde di un fiume, che racchiude tutta la forza e la voglia di arrivare – riproposta durante la Cerimonia di apertura di Londra 2012 – e infine un titolo indimenticabile: sì, questo mese parliamo di “Momenti di Gloria”, titolo originale Chariots of Fire.
Questo capolavoro del 1981 diretto da Hugh Hudson ci racconta, in un lungo flashback, le autentiche gesta degli universitari di Cambridge che si allenarono per partecipare ai Giochi Olimpici di Parigi 1924.
La voce narrante non è quella di uno dei due protagonisti principali, Eric Liddell e Harold Abrahams, bensì dell’amico di quest’ultimo, Aubrey Montague, che attraverso le lettere che manda ai genitori ci porta nel mondo di Cambridge agli inizi degli Anni Venti, con le gioie e le speranze dei giovani laureandi appena iscritti.
Tra questi spicca appunto Harold Abrahams che cerca nella corsa un modo per farsi notare nella società snob di Cambridge restia a considerarlo poco più di un “figlio di un ricco ebreo”; grazie al sostegno dei suoi amici e all’aiuto di un allenatore professionista balzerà agli onori della cronaca.
Il suo contraltare è il giocatore di rugby Eric Liddell, scozzese e fervente cattolico, che lascia il mondo della palla ovale per sposare quello della corsa veloce. La lotta a distanza tra i due li vede sfidarsi in una competizione in cui lo scozzese ha la meglio, questo comporta una profonda crisi per Abrahams i cui sogni ambiziosi si infrangono contro una dura realtà: non è lui il più veloce. Per uscirne non bastano la comprensione e l’amore di Sybil, attrice di teatro divenuta sua compagna, né l’incrollabile fiducia che i suoi amici, primo fra tutti il nobile Andrew Lindsay, nutrono per lui: c’è bisogno di un professionista. In suo aiuto arriva Sam Mussabini, allenatore professionista che decide di accogliere le ambizioni del ragazzo e farlo diventare l’uomo più veloce del mondo.
“Ciò che Dio ha dato non si acquista.”, con queste parole Mussabini sprona Abrahams, cambiandogli la falcata (“Falcata lunga: morte del velocista”) e seguendolo passo passo in una crescita soprattutto interiore.
Ovviamente anche Liddell non è da meno nell’impegnarsi e il montaggio di Terry Rawlings ci propone il parallelismo degli allenamenti dei due atleti, la loro forza e il loro credere nelle proprie capacità.
Finalmente si arriva a Parigi 1924, Cambridge regala alla Gran Bretagna le gambe di Abrahams, Lindsay e il nostro narratore Montague; insieme a loro, ovviamente, Liddell. Sulla nave che li sta portando in Francia, però, c’è un colpo di scena: la notizia che le eliminatorie dei 100 metri si terranno di domenica, giorno in cui il cattolicissimo Liddell si rifiuta di gareggiare per rispettare il terzo Comandamento “Ricordati di santificare le feste”.
I Giochi Olimpici iniziano e l’ “Affaire Liddell” resta; a risolverlo interviene lord Andrew Lindsay, il quale, appagato da un argento nella corsa a ostacoli, offre il proprio posto nella gara dei 400 metri (in programma ovviamente in altro giorno della settimana) allo scozzese di modo che possa anch’egli gareggiare e mostrare le proprie qualità senza venir meno al suo credo.
I Giochi Olimpici di Parigi si concludono con un trionfo per i due protagonisti: sia Abrahams nei 100 m sia Liddell nei 400 m conquistano l’oro e tornano a casa accolti con onore.
Le ultime scene del lungometraggio ci fanno sapere che Abrahams seguirà le orme del padre nel mondo degli affari e Liddell si recherà come missionario in Cina, ove morirà alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Abituati come siamo alle grandi descrizioni delle gesta atletiche tipiche delle pellicole di Hollywood, questo film inglese potrebbe quasi deludere chi ama i colpi di scena e memorabili scenografie: luci calde, personaggi ben delineati e soprattutto molta poca retorica.  Le vere gesta di Abrahams e Liddell non vengono particolarmente romanzate, salvo il dettaglio del cambio di specialità: poichè le date delle gare erano conosciute agli atleti da mesi, in realtà lo scozzese si iscrisse direttamente ai 400 metri. Ma è da scene come queste che possiamo capire che non ci troviamo di fronte a un prodotto di Hollywood: l’offerta di Lindsay viene proposta in modo quasi casuale, senza sottolineature eccessive o retoriche forzate.
Anche il rallenty, spesso abusato nel cinema sportivo, viene qui usato sapientemente per sottolineare i momenti di maggior tensione ed evidenziare il pathos vissuto dai protagonisti durante le gare.
La pellicola ebbe 7 Nomination agli Oscar e ne vinse ben 4: miglior Film, miglior Sceneggiatura originale, migliori Costumi e, ovviamente, miglior Colonna sonora, quella “Chariots of Fire” del compositore greco Vangelis che dall’82 accompagna la gran parte dei filmati di atletica. Oltre alla mitica statuetta, il produttore David Puttnam si aggiudicò anche il Golden Globe e il premio Bafta (British Academy of Film and Television Arts). Il montaggio di Terry Rawlings avrà la nomination per l’Oscar e il Bafta
Purtroppo la gloria del film non accompagnò i suoi interpreti: Ben Cross (Abrahams) troverà soprattutto parti da caratterista, mentre Ian Charleson (Liddell) avrà purtroppo una sorte ben triste. Dopo i ruoli del Reverendo Charlie Andrews in “Gandhi” e del regista Marco in “Opera” del nostro Dario Argento non avrà altre apparizioni importanti e morirà a soli 40 anni per AIDS. In suo onore vennero istituiti gli “Ian Charleson Awards” per premiare le performance più classiche degli attori sotto i trent’anni in Regno Unito e il centro contro l’HIV presso il Royal Free Hospital a Londra porta il suo nome.
Tutti noi, comunque, continueremo a emozionarci ascoltando le note di “Chariots of Fire” e immagineremo di essere con quei ragazzi a correre, tutti insieme, sulle rive del fiume Cam.


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