Passati tre mesi dalla XXX Olimpiade pubblico volentieri la recensione del film Momenti di gloria scritta da Donatella Italia
Una colonna sonora inconfondibile,
una scena, quella dei ragazzi che corrono lungo le sponde di un fiume, che
racchiude tutta la forza e la voglia di arrivare – riproposta durante la Cerimonia di apertura di
Londra 2012 – e infine un titolo indimenticabile: sì, questo mese parliamo di
“Momenti di Gloria”, titolo originale Chariots of Fire.
Questo capolavoro del 1981 diretto
da Hugh Hudson ci racconta, in un lungo flashback, le autentiche gesta degli
universitari di Cambridge che si allenarono per partecipare ai Giochi Olimpici
di Parigi 1924.
La voce narrante non è quella di
uno dei due protagonisti principali, Eric Liddell e Harold Abrahams, bensì
dell’amico di quest’ultimo, Aubrey Montague, che attraverso le lettere che
manda ai genitori ci porta nel mondo di Cambridge agli inizi degli Anni Venti,
con le gioie e le speranze dei giovani laureandi appena iscritti.
Tra questi spicca appunto Harold
Abrahams che cerca nella corsa un modo per farsi notare nella società snob di
Cambridge restia a considerarlo poco più di un “figlio di un ricco ebreo”;
grazie al sostegno dei suoi amici e all’aiuto di un allenatore professionista
balzerà agli onori della cronaca.
Il suo contraltare è il giocatore
di rugby Eric Liddell, scozzese e fervente cattolico, che lascia il mondo della
palla ovale per sposare quello della corsa veloce. La lotta a distanza tra i
due li vede sfidarsi in una competizione in cui lo scozzese ha la meglio,
questo comporta una profonda crisi per Abrahams i cui sogni ambiziosi si
infrangono contro una dura realtà: non è lui il più veloce. Per uscirne non
bastano la comprensione e l’amore di Sybil, attrice di teatro divenuta sua
compagna, né l’incrollabile fiducia che i suoi amici, primo fra tutti il nobile
Andrew Lindsay, nutrono per lui: c’è bisogno di un professionista. In suo aiuto
arriva Sam Mussabini, allenatore professionista che decide di accogliere le
ambizioni del ragazzo e farlo diventare l’uomo più veloce del mondo.
“Ciò che Dio ha dato non si
acquista.”, con queste parole Mussabini sprona Abrahams, cambiandogli la
falcata (“Falcata lunga: morte del velocista”) e seguendolo passo passo in una
crescita soprattutto interiore.
Ovviamente anche Liddell non è da
meno nell’impegnarsi e il montaggio di Terry Rawlings ci propone il
parallelismo degli allenamenti dei due atleti, la loro forza e il loro credere
nelle proprie capacità.
Finalmente si arriva a Parigi
1924, Cambridge regala alla Gran Bretagna le gambe di Abrahams, Lindsay e il
nostro narratore Montague; insieme a loro, ovviamente, Liddell. Sulla nave che
li sta portando in Francia, però, c’è un colpo di scena: la notizia che le
eliminatorie dei 100 metri
si terranno di domenica, giorno in cui il cattolicissimo Liddell si rifiuta di
gareggiare per rispettare il terzo Comandamento “Ricordati di santificare le
feste”.
I Giochi Olimpici iniziano e l’
“Affaire Liddell” resta; a risolverlo interviene lord Andrew Lindsay, il quale,
appagato da un argento nella corsa a ostacoli, offre il proprio posto nella
gara dei 400 metri
(in programma ovviamente in altro giorno della settimana) allo scozzese di modo
che possa anch’egli gareggiare e mostrare le proprie qualità senza venir meno
al suo credo.
I Giochi Olimpici di Parigi si
concludono con un trionfo per i due protagonisti: sia Abrahams nei 100 m sia Liddell nei 400 m conquistano l’oro e
tornano a casa accolti con onore.
Le ultime scene del lungometraggio
ci fanno sapere che Abrahams seguirà le orme del padre nel mondo degli affari e
Liddell si recherà come missionario in Cina, ove morirà alla fine della Seconda
Guerra Mondiale.
Abituati come siamo alle grandi
descrizioni delle gesta atletiche tipiche delle pellicole di Hollywood, questo
film inglese potrebbe quasi deludere chi ama i colpi di scena e memorabili
scenografie: luci calde, personaggi ben delineati e soprattutto molta poca
retorica. Le vere gesta di Abrahams e
Liddell non vengono particolarmente romanzate, salvo il dettaglio del cambio di
specialità: poichè le date delle gare erano conosciute agli atleti da mesi, in
realtà lo scozzese si iscrisse direttamente ai 400 metri. Ma è da scene
come queste che possiamo capire che non ci troviamo di fronte a un prodotto di
Hollywood: l’offerta di Lindsay viene proposta in modo quasi casuale, senza
sottolineature eccessive o retoriche forzate.
Anche il rallenty, spesso abusato
nel cinema sportivo, viene qui usato sapientemente per sottolineare i momenti
di maggior tensione ed evidenziare il pathos vissuto dai protagonisti durante
le gare.
La pellicola ebbe 7 Nomination
agli Oscar e ne vinse ben 4: miglior Film, miglior Sceneggiatura originale,
migliori Costumi e, ovviamente, miglior Colonna sonora, quella “Chariots of
Fire” del compositore greco Vangelis che dall’82 accompagna la gran parte dei
filmati di atletica. Oltre alla mitica statuetta, il produttore David Puttnam
si aggiudicò anche il Golden Globe e il premio Bafta (British Academy of Film and
Television Arts). Il montaggio di Terry Rawlings avrà la nomination
per l’Oscar e il Bafta
Purtroppo la gloria del film non
accompagnò i suoi interpreti: Ben Cross (Abrahams) troverà soprattutto parti da
caratterista, mentre Ian Charleson (Liddell) avrà purtroppo una sorte ben
triste. Dopo i ruoli del Reverendo Charlie Andrews in “Gandhi” e del regista
Marco in “Opera” del nostro Dario Argento non avrà altre apparizioni importanti
e morirà a soli 40 anni per AIDS. In suo onore vennero istituiti gli “Ian
Charleson Awards” per premiare le performance più classiche degli attori sotto
i trent’anni in Regno Unito e il centro contro l’HIV presso il Royal Free
Hospital a Londra porta il suo nome.
Tutti noi, comunque, continueremo
a emozionarci ascoltando le note di “Chariots of Fire” e immagineremo di essere
con quei ragazzi a correre, tutti insieme, sulle rive del fiume Cam.
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