La recente
tragedia di Soma, in Turchia, ha riportato d’attualità l’arduo lavoro svolto da
migliaia di uomini in nazioni anche più vicine a noi: quanto accadde l'8 agosto
1956 a Marcinelle (nei pressi di Charleroi, in Belgio) è indelebile nella
nostra storia. Era la miniera "Bois du Cazier", dalle sue viscere si
estraeva carbone e quel giorno 262 minatori, di cui 136 italiani, rimasero
intrappolati a seguito di uno scoppio. Fu la pagina più drammatica di una serie
di disgrazie meno celebrate: furono complessivamente 867 i minatori italiani
morti dal 1946 al 1963, senza contare tutti coloro che ebbero l’esistenza minata
dalla silicosi. Risale invece all’inizio del secolo scorso, al 6 dicembre 1907,
il disastro a Monongah (West Virginia); mancano dati ufficiali ma si ipotizza
in 956 i minatori morti, di cui 171 italiani.
L’emigrazione
italiana in Belgio (che negli anni ’60 rappresentò il 44,2% della popolazione
straniera in quel paese) non fu un esodo avventuroso come talvolta lo si vuole
dipingere: fu il risultato degli accordi
bilaterali tra Italia e Belgio sottoscritti fin dal 1946 tra i due governi:
manodopera in cambio di carbone. Quell’anno furono 24.000 i nostri connazionali
che raggiunsero la Vallonia e oltre 46.000 due anni dopo. La Federazione
Carbonifera Belga, che a Milano aveva sede in piazza S.Ambrogio 3, pubblicizzò
largamente, mediante manifesti, le
“condizioni particolarmente vantaggiose offerte per il lavoro sotterraneo nelle
miniere belghe”.
Quello fu il
maggior impulso, come verso Torino per la Fiat, alla nostra migrazione che
cominciò ad interessare significativamente anche le regioni meridionali; prima
di allora le provenienze erano dalle campagne di Piemonte, Veneto e Friuli. Per
la cronaca il primo minatore italiano in Belgio fu il valdostano Léonard Louis
Bertollin (era il 1888). Proprio dieci anni fa, nell’aprile del 2004, a
Creutzwald in Lorena, chiuse l’ultima miniera di carbone; gli italiani
rappresentavano almeno il 50% della manodopera.
Sempre in Lorena ci sono, esattamente a Freyming-Merlebach, i due pozzi
più profondi per l’escavazione del carbone.
Poche decine
di km più a ovest abbiamo le Terres
rouges, un territorio collinare che
copre per circa 15 km la parte
meridionale del Lussemburgo; interessa principalmente
le città di Dudelange, Esch-sur-Alzette, Differdange e un piccolo lembo
orientale della Francia (zona di Audun-le-Tiche). Deve il suo nome ai minerali
ferrosi di cui è ricca; é lì che per una
settantina d’anni i minatori hanno scavato in lunghi cunicoli di buie miniere. Si
dice che, a differenza del carbone, estrarre il ferro sia meno pericoloso;
certamente lavorare di piccone per ore e ore in una miniera non deve essere
stato comunque agevole per nessuno. Ancor oggi, trent’anni dopo la loro
chiusura, si può immaginarlo ponendoci davanti agli ingressi di quelle
gallerie. Ho voluto raggiungerne due, a Rumelange (dove c’è anche il Musée National
des Mines) e a Schifflange, alla porte di Esch Sur Alzette e l’emozione che ho
provato è stata forte. Buchi nella montagna dove centinaia di uomini portavano
ogni giorno la loro fatica, le loro speranze e, talvolta vi lasciavano la vita. “Onore ai minatori morti nella notte delle
gallerie, restano vivi nei nostri cuori
riconoscenti” è scritto su una lapide a Rumelange mentre a Schifflange ho trovato dei lumini e una croce
costruita con due rami; ringrazio la Signora Martine Harsch- Welter per avermi
fatto da guida.
Tra i tanti
capitoli della nostra storia economica sarebbe davvero opportuno, come cultura e
riconoscenza, dedicarne uno a questo immane sacrificio compiuto da nostri
connazionali che hanno dovuto lasciare gli affetti più cari, gli amici, il
paese, per costruire onestamente un futuro e portare, anche lontani da casa,
onore all’Italia.
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