“Se fossi uno spagnolo avrei paura”, aveva
commentato così un giornalista appena i cileni avevano terminato di cantare il
loro inno prima della partita con la Spagna. Era mercoledì 18 giugno e al
Maracanà di Rio de Janeiro pochi attimi prima erano stati eseguiti, tra
l’emozione generale, gli inni di Spagna
e Cile, in campo per il Campionato
Mondiale di calcio. Per pura coincidenza quello degli Iberici è uno dei pochi
al mondo senza testo perché è la Marcha Real, quindi calciatori e pubblico
l’avevano ascoltata tacendo; subito dopo quel “mutismo” ecco l’Himno Nacional
de Chile. Il canto si era levato corale e imperioso dai calciatori e dalle
migliaia dei loro tifosi in tribuna trasformandosi in un brivido quando la
musica cessò e il canto proseguì a cappella fino all’ultima strofa: “I nostri petti saranno il tuo baluardo, col
tuo nome sapremo vincere, o il tuo nobile, glorioso stendardo, ci vedrà
combattendo cader.” Sì, quel giornalista fu profetico perché i cileni,
disputando una magnifica partita, vinsero per due reti a zero i campioni in
carica.
Va
sottolineato che le parole degli inni nazionali sono fondamentali, si
richiamano ai valori della patria, delle sue origini più gloriose, esprimono un
riscatto. Nascono prima della musica che, il più delle volte, è una marcia; ad
essa si accomunano per trasformarsi in uno stimolo, una carica. Per questo il
nostro Canto degli Italiani è principalmente ricordato come l’Inno di Mameli.
Di Goffredo Mameli, appunto, poeta e patriota genovese molto vicino a Mazzini e
alla Massoneria; appena ventenne scrisse il testo poi musicato da un altro
genovese, Michele Novaro. C’è da chiedersi quanti di noi sarebbero in grado di
proseguire il canto del nostro inno dopo la prima strofa. L’ignoranza in tale
senso è così diffusa che i leghisti l’hanno “ripudiato” preferendogli il corale
Va Pensiero (parte terza del Nabucco musicato da Verdi ma con parole di
Temistocle Solera) senza pensare che nella quarta strofa del testo di Mameli troviamo
questa frase “Dall’Alpi a Sicilia ovunque
è Legnano”. Il richiamo alla vittoria sul Barbarossa da parte della Lega
Lombarda (quella del 1176) appare evidente, ma non lo è stato per tutti.
Varcati i
nostri confini troviamo un inno che conosciamo un po’ tutti, se non nel testo
certo nella musica davvero incalzante: La Marsigliese. Anche qui i richiami
alla riscossa sono evidenti; la traduzione letterale italiana (che sconsiglio di cantare sull’aria musicale
perché non combacia) è: “Avanti, figli
della Patria, il giorno è arrivato! Contro di noi della tirannia la bandiera
insanguinata è innalzata, ecc..”. Identico
anelito lo troviamo perfino nel testo di uno dei più antichi inni, l’olandese
Het Wilhelmus che risale al XVI secolo quando i Paesi Bassi, allora Repubblica
delle Sette Province Unite, si ribellarono al dominio spagnolo. Alla riscossa
verso la medesima dominazione si richiama anche l’Himno Nacional Argentino: “Udite, mortali, il grido sacro: Libertà, libertà, libertà. Udite il
rumore delle catene spezzate, guardate sul trono la nobile uguaglianza”. E
che dire di quello dell’Uruguay? “Orientali,
la Patria o la tomba, Libertà o morire con gloria! E’ il voto che l’anima
pronuncia e che eroici sapremo compiere”.
Terminati i
Mondiali non vivremo più quella carica emotiva che dà l’ascolto di un inno, il
commuoverci nel vedere con quanta partecipazione lo interpretano atleti e
tifosi. Si ritireranno anche le bandiere dalle finestre per riporle in attesa
di un altro evento sportivo umiliando così il senso patrio che esprimono. Si è dovuta attendere la legge 222 del 23
novembre 2012 perché il Canto degli Italiani venisse ufficialmente annoverato
fra i “simboli della Repubblica” e fosse imposto il suo insegnamento nelle
scuole. Non si è certo “ottocenteschi” se si tornasse ad onorare la bandiera e
a intonare anche nelle aule il nostro Inno; concorreremmo alla formazione dei
protagonisti della nostra società futura e, molto probabilmente, coglieremmo frutti
migliori.