Purtroppo non si va verso il ritiro del provvedimento che si tradurrà invece in un flop dei risultati che vogliono ottenere. Si insiste nell'affermare che l'aumento dell'IVA è indispensabile per coprire il disavanzo nelle entrate e detto disavanzo è stato quantificato. Ma con quale certezza si pensa di portare nelle casse dello Stato l'importo sperato? Nessuna, assolutamente nessuna per un motivo semplicissimo che gli amministratori del bene pubblico non vogliono capire: l'imposta grava su qualcosa che si compra, vale a dire acquisti di beni (abbigliamento, calzature, elettrodimestici, computer, alcolici, caffe, ecc..) e di servizi e fra questi si considerino anche le varie parcelle professionali, i trasporti, ecc. Quindi il risultato è alquanto aleatorio. Le famiglie sono già stremate, i consumi è da tempo che stanno diminuendo e da alcuni giorni, dalla Confcommercio alla CGIA di Mestre, dalla Confesercenti alle varie associazioni consumatori, sostengono che l'aumento dell'iva causerà un'ulteriore contrazione dei consumi pari al 3%. Se, a causa del rincaro, io rinuncio ad un acquisto (bene o servizio che sia) lo Stato non incassa neppure l'equivalente dell'imposta attuale.Una conferma arriva dalla Federvini: "a parità di accisa, dal 2006 al 2013 il gettito derivante dall'accisa sugli alcolici è calato di quasi 150 milioni di euro. Figurarsi con l'accisa aumentata."
Minori consumi significa anche colpire l'occupazione con un disastroso effetto domino perchè la conseguenza più ovvia è che il provvedimento sarà solo negativo.
Io aggiungo (e temo) che questo ulteriore aumento dell'iva (il secondo in due anni) favorirà un'ulteriore evasione fiscale, per cui...
Una considerazione terra terra: un condominio è amministrato da un soggetto che ogni anno, presentando il bilancio consuntivo, viene o meno riconfermato nella carica e, in tale caso, sottopone anche le proprie pretese, il proprio compenso che varrà per l'intero mandato.
I nostri strapagati politici non sono altro che degli amministratori; nel candidarsi però non ci dicono fino in fondo quanto ci costeranno mentre, come ci stiamo accorgendo, inanellano un errore all'altro.
L'art 1176 del codice civile recita: "Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia."
Viene sempre osservata questa diligenza?
Quando
in una famiglia vengono diminuiscomo le entrate si provvede a fare delle
rinunce; si insista allora nel taglio della spesa pubblica. Mi si
risponderà che si tratta poi di piccole cose, non determinanti. Non è
vero! Se le sommiamo otteniamo cifre sostanziose; provatre a lasciare un bicchiere sotto un rubinetto che sgocciola: prima o poi ma inevitabilmente si riempie. Dopotutto qualcuno ci
venga a spiegare come mai gli enti locali hanno sempre meno
disponibilità finanziarie mentre imposte e tasse aumentano?
Non dimenticherò mai una frase di Aldo Moro: "Ricordiamoci di spegnere sempre la luce quando usciamo da una stanza".
Tornando alla domanda confermo la risposta: questo aumento dell'iva avrà solo un effetto deprimente e non porterà nelle casse dello Stato i frutti sperati perchè per risparmiare sul punto in più si rinuncerà, dove possibile, l'acquisto. E in fatto di provvedimenti ai danni delle nostre tasche si rileggano i provvedimenti varati dall'allora ministro Fornero.
lunedì 30 settembre 2013
mercoledì 11 settembre 2013
Onorevole a vita? Ma mi faccia il piacere!
Un articolo a firma Antonio Ricchio e pubblicato oggi da Corriere.it riporta un episodio sorpredentente: un'ex Deputata, ora Garante per l'infanzia per la Regione Calabria, ha rifiutato una lettera perchè le era stata indirizzata senza che il suo nome fosse stato preceduto da Onorevole.
Invito a leggere tale articolo e i relativi commenti e, nondimeno, fare anche una ricerca sulle origini di questo appellativo di cui si fregiano liberamente i nostri deputati (perfino gli eurodeputati). Non è casuale che sull'autorevole Enciclopedia Treccani on line si legga "il titolo è attribuito ai membri del Parlamento", non dice "spetta". Da parte mia ho trovato una ben articolata descrizione sul sito Il Cerimoniale e ne ho estratto la ...sostanza:
Il termine "onorevole" riferito a un eletto non è mai stato istituito, e proviene da una consolidata prassi, iniziata nel 1848 alla Camera subalpina. Nel ventennio l'appellativo godette di scarsa simpatia (un foglio d'ordini del marzo 1939 a firma del Segretario del Partito Nazionale Fascista* arrivò a decretare: "l'appellativo di onorevole, insieme con il corrispettivo titolo di deputato, deve essere sostituito con la qualifica di consigliere nazionale, gerarchicamente superiore a quello di consigliere provinciale e di consigliere comunale"), ma nell'immediato dopoguerra il termine di onorevole tornò a essere utilizzato.
Si sa che fu un'iniziativa di Cavour, primo presidente del Consiglio del neonato Regno d'Italia (1861), a disporre questo appellativo per ...uniformità (i più svariati titoli nobiliari sedevano fianco a fianco di professori, avvocati e proprietari terrieri). In altre parole l'appellativo "Onorevole" è da intendersi al pari dell'Egregio Signor... e non certo un titolo onorifico che ormai, per prassi e non per istituzione, si vorrebbe fare intendere, ma un semplice appellativo al pari di Egregio Signor...
Vedasi la relazione alla proposta di legge n° 2272 sottoscritta l' 11 aprile 2002 da sei deputati (di vari partiti); contiene un'affermazione che fa definitiva chiarezza: "Onorevoli Colleghi! Tra gli usi parlamentari più invisi alla pubblica opinione vi è la gratuita attribuzione, a senatori e deputati nazionali e regionali, dell'appellativo di "onorevole". Tale vezzo, riscontrabile praticamente solo in Italia, contribuisce, infatti, a fornire dei parlamentari un'immagine di casta, accrescendo nella coscienza popolare quel diffuso senso di distacco che si riassume nel ben noto fenomeno dello scollamento tra classe politica e Paese reale."
Sono quindi alquanto improprie le iniziative del tipo "Aboliamo il titolo di onorevole". Si abolisce qualcosa di istutuito, di ufficiale, non una consuetudine: l'unico rimedio è non usarla più, soprattutto noi giornalisti. Certo che ai "privilegi" non si rinuncia facilmente, ma restare attaccati ad un titolo che pure non è ..."certificato", suvvia.
* per la cronaca ne fu vietato l'utilizzo con Foglio d'ordini n° 1277 del 4 marzo 1939
p.s. potremmo definire "onorevoli" quei deputati che lo scorso luglio derisero il parlamentare Matteo Dall'Osso che stentava ad esporre il proprio documento alla Camera? La difficoltà a parlare di Dall'Osso era dovuta dalla sclerosi multipla di cui soffre. Ah, solo per la cronaca, stava presentando un ordine del giorno sui trapianti.
*
Invito a leggere tale articolo e i relativi commenti e, nondimeno, fare anche una ricerca sulle origini di questo appellativo di cui si fregiano liberamente i nostri deputati (perfino gli eurodeputati). Non è casuale che sull'autorevole Enciclopedia Treccani on line si legga "il titolo è attribuito ai membri del Parlamento", non dice "spetta". Da parte mia ho trovato una ben articolata descrizione sul sito Il Cerimoniale e ne ho estratto la ...sostanza:
Il termine "onorevole" riferito a un eletto non è mai stato istituito, e proviene da una consolidata prassi, iniziata nel 1848 alla Camera subalpina. Nel ventennio l'appellativo godette di scarsa simpatia (un foglio d'ordini del marzo 1939 a firma del Segretario del Partito Nazionale Fascista* arrivò a decretare: "l'appellativo di onorevole, insieme con il corrispettivo titolo di deputato, deve essere sostituito con la qualifica di consigliere nazionale, gerarchicamente superiore a quello di consigliere provinciale e di consigliere comunale"), ma nell'immediato dopoguerra il termine di onorevole tornò a essere utilizzato.
Si sa che fu un'iniziativa di Cavour, primo presidente del Consiglio del neonato Regno d'Italia (1861), a disporre questo appellativo per ...uniformità (i più svariati titoli nobiliari sedevano fianco a fianco di professori, avvocati e proprietari terrieri). In altre parole l'appellativo "Onorevole" è da intendersi al pari dell'Egregio Signor... e non certo un titolo onorifico che ormai, per prassi e non per istituzione, si vorrebbe fare intendere, ma un semplice appellativo al pari di Egregio Signor...
Vedasi la relazione alla proposta di legge n° 2272 sottoscritta l' 11 aprile 2002 da sei deputati (di vari partiti); contiene un'affermazione che fa definitiva chiarezza: "Onorevoli Colleghi! Tra gli usi parlamentari più invisi alla pubblica opinione vi è la gratuita attribuzione, a senatori e deputati nazionali e regionali, dell'appellativo di "onorevole". Tale vezzo, riscontrabile praticamente solo in Italia, contribuisce, infatti, a fornire dei parlamentari un'immagine di casta, accrescendo nella coscienza popolare quel diffuso senso di distacco che si riassume nel ben noto fenomeno dello scollamento tra classe politica e Paese reale."
Sono quindi alquanto improprie le iniziative del tipo "Aboliamo il titolo di onorevole". Si abolisce qualcosa di istutuito, di ufficiale, non una consuetudine: l'unico rimedio è non usarla più, soprattutto noi giornalisti. Certo che ai "privilegi" non si rinuncia facilmente, ma restare attaccati ad un titolo che pure non è ..."certificato", suvvia.
* per la cronaca ne fu vietato l'utilizzo con Foglio d'ordini n° 1277 del 4 marzo 1939
p.s. potremmo definire "onorevoli" quei deputati che lo scorso luglio derisero il parlamentare Matteo Dall'Osso che stentava ad esporre il proprio documento alla Camera? La difficoltà a parlare di Dall'Osso era dovuta dalla sclerosi multipla di cui soffre. Ah, solo per la cronaca, stava presentando un ordine del giorno sui trapianti.
*
Ho segnalato questo dato storico all'autorevole Enciclopedia Treccani che, ringraziando, mi ha risposto: "la sua
osservazione è corretta"; sulle loro pagine non troveremo che è titolo ma "... è
appellativo riservato ai membri ecc."
Perchè non richiamarci all'art 498 del Codice penale "Usurpazione di titoli ed onori"?
Perchè non richiamarci all'art 498 del Codice penale "Usurpazione di titoli ed onori"?
lunedì 9 settembre 2013
RAPPORTO ITALIANI NEL MONDO Rapporto edizione 2013
Tra un mese, il 3 ottobre, sarà presentato a Roma l' 8° Rapporto Italiani nel Mondo. Un'opera di assoluto valore edito dalla FONDAZIONE MIGRANTES e coordinato dalla Dott.ssa Delfina Licata. Contiene più di 40 approfondimenti elaborati da 50 autori dall’Italia e dall’estero, " inaugura una nuova fase del progetto editoriale dedicato allo studio della mobilità italiana di ieri e di oggi, evidenzia le difficoltà e le opportunità avvertite da tanti italiani in un momento in cui la crisi generale stenta ad allentare la sua morsa sull’intero Paese."
Come avevo anticipato nel mio post del 5 luglio sono, secondo i dati del Ministero dell'Interno, 4.341.156 i cittadini italiani residenti fuori dai confini nazionali, la media della loro età è 34 anni (no comment).
L’aumento, in valore assoluto, rispetto allo scorso anno è di 132.179 iscrizioni, +3,1% rispetto al 2012.
La ripartizione continentale rimarca, ancora una volta, che la maggior parte dei connazionali residenti fuori dall’Italia si trova in Europa (2.364.263, il 54,5% del totale); a seguire l’America (1.738.831, il 40,1% del totale) e, a larga distanza, l’Oceania (136.682, il 3,1%), l’Africa (56.583, l’1,3%) e l’Asia (44.797, l’1,0%).
Con tutto il rispetto sia personale che per la carica che ricopre, auspico che la Dott.sa Cécile Kyenge possa estendere le sue competenze di ministro dell'Integrazione anche alla crescente realtà dell'Emigrazione italiana, si otterrebbe così una visione più omogenea del fenomeno migratorio.
domenica 8 settembre 2013
GIOVANI e LAVORO: perchè generalizzare?
Un anno fa, abbastanza contrariato dai risultati di un'inchiesta secondo la quale i giovani erano restii ad accettare un lavoro se non fosse stato ben retribuito, mi trovai a parlare con un calzolaio. "Vede, dopo di me qui non ci sarà più nessuno. Non ci sono giovani disposti ad imparare questo mestiere, a fare sacrifici".
La cosa mi sorprese non poco perchè avevo dati ben diversi; peraltro, poco distante, c'era un benzinaio il quale aveva per aiutante un ragazzo appena maggiorenne che, dopo una giornata alla pompa, se ne andava a scuola per prendersi un diploma.
Lo riferii al calzolaio il quale mi rispose: "Certo che di ragazzi che vengono in bottega per fare gli apprendisti ne posso anche trovare, ma mica li devo pagare io. A me chi mi paga per il tempo che gli dedico?"
No comment se non un auspicio: che mi legga il ministro dell'Istruzione Maria Chiara Carrozza. Forse la prossima volta sarà meno disinvolta nell'affermare "gli studenti italiani arrivano a 25 anni senza avere lavorato un solo giorno nella vita". Se ha qualche esempio certo ne chieda spiegazione ai loro genitori. Se non c'è spirito di sacrificio cerchiamone le ragioni.
Una mia figlia lavorava già prima ancora di discutere la tesi: laurea quadriennale con lode. Sarebbe stata una risorsa in qualsiasi ministero, invece è un'elogiata manager ...all'estero.
Io ho conosciuto universitari che si pagavano studi e alloggio a Milano facendo gli operatori di call center. Ministro Carrozza, qualcuno prima di Lei è stato alquanto improvvido con dichiarazioni superficiali sui giovani; mi permetto quindi di sostituirmi a chi, del Suo staff, non Le ha ancora detto che:
- sono tantissimi gli studenti lavoratori italiani, tra il 20 e il 30% degli universitari
- ogni anno abbiamo decine di migliaia di giovani che, con in tasca una laurea, cercano lavoro all'estero dove poi si fanno onore senza alcun ministero dell'integrazione a dare loro una mano.
- ci sono colonne intere di annunci dove nostri connazionali cercano un lavoro: qualunque purchè onesto
Aggiungo una chicca: in Lussemburgo c'è la cosiddetta "mancia" per gli studenti che durante l'estate vanno a lavorare in varie aziende. Sono pagati dallo Stato.
La cosa mi sorprese non poco perchè avevo dati ben diversi; peraltro, poco distante, c'era un benzinaio il quale aveva per aiutante un ragazzo appena maggiorenne che, dopo una giornata alla pompa, se ne andava a scuola per prendersi un diploma.
Lo riferii al calzolaio il quale mi rispose: "Certo che di ragazzi che vengono in bottega per fare gli apprendisti ne posso anche trovare, ma mica li devo pagare io. A me chi mi paga per il tempo che gli dedico?"
No comment se non un auspicio: che mi legga il ministro dell'Istruzione Maria Chiara Carrozza. Forse la prossima volta sarà meno disinvolta nell'affermare "gli studenti italiani arrivano a 25 anni senza avere lavorato un solo giorno nella vita". Se ha qualche esempio certo ne chieda spiegazione ai loro genitori. Se non c'è spirito di sacrificio cerchiamone le ragioni.
Una mia figlia lavorava già prima ancora di discutere la tesi: laurea quadriennale con lode. Sarebbe stata una risorsa in qualsiasi ministero, invece è un'elogiata manager ...all'estero.
Io ho conosciuto universitari che si pagavano studi e alloggio a Milano facendo gli operatori di call center. Ministro Carrozza, qualcuno prima di Lei è stato alquanto improvvido con dichiarazioni superficiali sui giovani; mi permetto quindi di sostituirmi a chi, del Suo staff, non Le ha ancora detto che:
- sono tantissimi gli studenti lavoratori italiani, tra il 20 e il 30% degli universitari
- ogni anno abbiamo decine di migliaia di giovani che, con in tasca una laurea, cercano lavoro all'estero dove poi si fanno onore senza alcun ministero dell'integrazione a dare loro una mano.
- ci sono colonne intere di annunci dove nostri connazionali cercano un lavoro: qualunque purchè onesto
Aggiungo una chicca: in Lussemburgo c'è la cosiddetta "mancia" per gli studenti che durante l'estate vanno a lavorare in varie aziende. Sono pagati dallo Stato.
COLPO SECCO recensione del film
A 36 anni dalla sua
uscita in Italia rendo volentieri omaggio al film
Colpo Secco (Slap shot), di George Roy Hill, e al suo straordinario interprete Paul
Newman pubblicando la recensione di quel film sull’hockey scritta da Donatella Italia
L’hockey non è certamente un non-contact sport, ma forse non tutti sanno che anni fa era
caratterizzato da scontri molto violenti, soprattutto nelle serie minori.
Colpo secco,
pellicola del 1977 diretta da George Roy Hill in cui ritroviamo Paul Newman, ci
racconta proprio questo mondo.
La squadra dei Chiefs di Charlestown naviga in cattive acque
e il suo allenatore-giocatore Rennie Dunlop (il grande Paul Newman) decide di approfittare
dell’arrivo nel gruppo degli Hanson, tre giovani quanto intemperanti gemelli, per catalizzare
l’attenzione sul team. I tre, che potremmo definire “teste calde”, hanno uno
stile di gioco particolarmente aggressivo e Dunlop decide di sfruttare questa
loro caratteristica, arrivando addirittura a farne dei personaggi.
Il gioco aggressivo e violento della squadra infiamma gli
animi dei tifosi che, prima, seguivano le gesta dei loro giocatori con poco
entusiasmo, e crea attenzione e
affluenza alle partite. A opporsi a questa filosofia di gioco troviamo l’altra
figura di spicco dei Chiefs, Ned Braden. Fa da contraltare a Dunlop; Ned è infatti un ragazzo di buona famiglia
che preferisce continuare il gioco pulito e corretto appreso nei campus
universitari piuttosto che cercare la vittoria con una scazzottata. Però, a
tormentarlo, oltre alla piega presa dalla squadra, i crescenti problemi di
alcolismo della moglie, infelice nonostante il marito la ami alla follia.
La crisi economica investe Charlestown e i membri dei
Chiefs, pur catalizzando su di sé tutte le emozioni e le aspettative della
città, iniziano a temere per il loro futuro. Dunlop, artefice della nuova linea
di condotta della squadra, decide di mettere in giro la voce di un’imminente
vendita dei Chiefs: in questo modo riesce a rinverdire l’interesse del pubblico
cittadino, e non solo, per il team. Ma in realtà non c’è nessun compratore e la
vera proprietaria della squadra, una signora di mezza età di nome Anita, ha
tutte le intenzioni di lasciar naufragare i Chiefs in quanto poco redditizi.
Si arriva all’ultima partita di campionato: Chiefs contro i
Syracuse Bulldogs, il cui allenatore – sapendo della fama di giocatori violenti
dei suoi avversari – schiera una squadra che potremmo definire di picchiatori.
Quando il primo dischetto viene lanciato in aria e si sancisce l’inizio della
partita, non devono passare troppi minuti che sul ghiaccio si scateni una vera
e propria rissa. Nel trambusto Ned Braden intravede la propria moglie sugli
spalti e, nell’estremo tentativo di ricordarle il suo amore e salvare così il
proprio matrimonio, improvvisa uno strip-tease. Lo spettacolo scatena l’ilarità
degli altri giocatori che smettono di picchiarsi e iniziano a inneggiare
all’uomo; solo il capitano dei Syracuse, Tim McCracken, protesta e viene
cacciato dall’arbitro. Quella che era nata come una grande zuffa finisce così
in una divertente parata di giocatori di hockey sulla pista, capitanati da
Braden vestito ormai solo della …conchiglia.
Colpo Secco non è
il classico film sportivo dove il protagonista è un eroe, spesso incompreso, che lotta per emergere e
veder riconosciuto il proprio talento. Non è neanche un film sui valori dello
sport: spirito di squadra, impegno, coraggio. Ma è la fotografia di un tipo di
gioco, fortunatamente passato, che ha caratterizzato il mondo dell’hockey per
lungo tempo. Ed è anche una piccola denuncia della spettacolarizzazione di
questo modo malato di vedere lo sport: la televisione che descrive e spesso fa
da sottofondo agli scontri sul campo, i commentatori che addirittura
intervistano i giocatori chiedendo loro quali sono i colpi migliori da
assestare sugli avversari. In tutto questo le due figure principali, Dunlop e
Braden, non ne escono cresciute o migliori: il primo resta un guascone con la
faccia d’angelo e il secondo porta in campo il tanto vituperato entertainment
del gioco per cercare di salvare il proprio matrimonio.
Perché allora guardare questo film? Per la caratterizzazioni
dei personaggi: non solo Dunlop – Newman ma anche i tre squinternati fratelli
Hanson o il bravo ragazzo Braden (che ha la faccia pulita di Michael Ontkean).
Caratteri diversi ma tratteggiati con cura, tanto da essere assimilati dagli
attori: lo stesso Newman, solitamente educato e di temperamento mite, riconobbe
di aver assimilato il linguaggio scurrile di Dunlop anche nella vita privata. Il
secondo pregio è, come detto, di fotografare una realtà sportiva che non c’è
più ma che è esistita, caratterizzando profondamente il mondo della tifoseria degli
anni passati, con un racconto non pesante o eccessivamente documentaristico, ma
cercando di mantenere una leggerezza di toni.
Una leggerezza di toni che non verrà dimenticata dal mondo
del cinema; a questo primo Colpo Secco
(titolo originale Slap Shot)
seguiranno infatti Slap Shot 2 e Slap Shot 3, ma senza la freschezza del
lungometraggio del 1977. Ma, dopotutto, dietro la macchina da presa del primo Colpo Secco troviamo George Roy Hill a
cui dobbiamo un capolavoro come La
Stangata, premio Oscar nel 1974: come dire, la classe non è acqua, anche
quando si parla di cattivi ragazzi.
Donatella Italia (© proprietà riservata)
Iscriviti a:
Post (Atom)